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26 Novembre: giornata nazionale del Parkinson


Parkinson neuropsicologia psicologia Trento Cles

Alla parola Parkinson cosa viene in mente?

Molto spesso, se pongo questa domanda, le persone mi rispondono tremore. Effettivamente il sintomo più evidente e più frequentemente presente nella persona con Parkinson è il tremore.

Il Parkinson è una forma di demenza, cioè una malattia degenerativa ad andamento progressivo, che rientra nella classe più ampia delle demenze sottocorticali.

In clinica, il termine sottocorticale è utile poiché ricomprende tutte quelle forme di demenza che derivano da una degenerazione primaria delle strutture sottocorticali, ovvero sottostanti la corteccia cerebrale.

La malattia di Parkinson è tra queste la demenza con maggiore incidenza e prevalenza.

Tipicamente i sintomi che compaiono nelle persone affette da Parkinson sono:

  • rallentamento nell’elaborazione delle informazioni: i malati vengono descritti a “scoppio ritardato”, lenti nel rispondere o nell’intraprendere un movimento anche banale, come prendere le posate;

  • disturbi dell’attenzione e della concentrazione: è possibile che la persona perda facilmente il filo del discorso, o che fatichi a seguire con attenzione un intero telegiornale;

  • difficoltà di memoria: la persona può presentare difficoltà nel recuperare informazioni, ad esempio può sembrare che non ci ascolti o che non voglia fare qualcosa che le avevamo chiesto di fare;

  • umore depresso, apatico: ridotta volontà nello svolgere attività, pigrizia, svogliatezza;

  • difficoltà motorie: tremori a carico degli arti superiori e/o inferiori e/o del capo, bradicinesia, movimenti rallentati, marcia a piccoli passi. Talvolta si può osservare difficoltà nell’iniziare la marcia, ma, una volta iniziata, la persona può avere difficoltà a interromperla.

Difficilmente si osservano difficoltà nel linguaggio o difficoltà nell’utilizzare oggetti e riconoscerli, più tipici in altre forme di demenza come nella demenza di Alzheimer.

Attualmente, a livello farmacologico vengono impiegati farmaci definiti dopaminergici: la Levo-Dopa, amminoacido in grado di modulare un neurotrasmettitore, la dopamina. La dopamina si trova in concentrazioni ridotte in questi pazienti a causa delle degenerazione di specifiche aree denominate nuclei della base, in particolare della Sostanza Nera. Questo farmaco, se da un lato è in grado di ripristinare i valori della dopamina e di ridurre così i sintomi motori, può contemporaneamente scatenare fastidiosi effetti collaterali (p.e. nausea, vomito, inappetenza, stipsi, aritmie, disturbi dell’umore e comportamentali, discinesie) essendo, la dopamina, una sostanza regolatrice di importanti strutture del cervello.

A livello cognitivo esistono programmi di riabilitazione che permettono di allenare quelle funzioni maggiormente sensibili al decadimento cognitivo. Tali interventi, così come la terapia farmacologica possono essere utili soprattutto durante i primi tempi e permettono di rallentarne il decorso o la gravità.

Un intervento combinato può quindi migliorare le prestazioni nella persona sia a livello motorio che cognitivo, abbassando anche il carico assistenziale del caregiver.

Molto spesso, screening cognitivi nelle prime fasi possono dirimere il dubbio circa le difficoltà esperite: se siano esse causate da un processo degenerativo in atto o da semplici accadimenti della vita quotidiana, come un periodo di forte stress. Rimane comunque una certezza: prima ci si accorge delle difficoltà, prima è possibile intervenire, prima si agisce per rallentare il deterioramento cognitivo e il processo psicopatologico in atto.

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